sabato 17 maggio 2014

Greenwashing

Negli ultimi anni alcuni nuovi materiali sono stati presentati come prodotti in grado di trasformare disgregare gli agenti inquinanti e di agire quindi efficacemente nella lotta all’inquinamento atmosferico.
Calcestruzzi, pavimentazioni e intonaci sono propagandati come elementi antismog che associano alle caratteristiche di resistenza e durabilità l’attenzione per l’ambiente.
Nella preparazione di questi prodotti rientra sempre il biossido o diossido di titanio (TiO2) , un materiale semiconduttore fotocatalitico ottenuto per sintesi dal minerale ilmenite,  utilizzato con sempre maggior  frequenza soprattutto nella forma nanoparticellare ( il termine nanoparticella individua particelle con almeno una dimensione inferiore ai 100nm che possono presentare proprietà fisiche e chimiche diverse rispetto allo stesso materiale in forma non nanoparticellare).
L’impiego di biossido di titanio risulta conveniente nelle lavorazioni e nei prodotti che necessitano di elevata opacità, bianchezza, resistenza alla corrosione e che richiedono attività fotocatalitica. Oltre che in prodotti alimentari, creme solari  è appunto usato come pigmento bianco in vernici, inchiostri, plastiche, carta, e come catalizzatore capace di degradare, per ossidazione, numerosi composti organici ed inorganici.
Ma l’uso crescente del biossido di titanio, presente in prodotti di grande consumo e in materiali edili utilizzati su larga scala,  determina la sua massiccia introduzione nell’ambiente (aria , acqua e corpi idrici). Infatti  per effetto dell’azione di dilavamento esercitata dalla pioggia confluisce nei corsi d’acqua, penetra nel sottosuolo e nelle falde freatiche.
Gli studi e le informazioni disponibili sulla tossicità ed ecotossicità del biossido di titanio, e delle nanoparticelle, sono ancora frammentari e insufficienti, ma lo IARC ( Centro nazionale della ricerca contro il cancro)  lo ha classificato come sostanza potenzialmente cancerogena (categoria 2B).
Le nanoparticelle possono essere pericolose proprio per la loro infinitesima dimensione e per la conseguente facilità ad essere inalate durante la respirazione.
Ciò si è reso palese in seguito allo sviluppo delle nanopatologie, malattie causate dall’esposizione e successiva permanenza dell’organismo (umano ed animale) di particelle inorganiche così piccole da non poter essere rimosse dall’organismo e potenzialmente in grado di innescare processi flogistici che possono tradursi in neoplasie.
Alcuni ricercatori osservano che le nanoparticelle di certi metalli pesanti potrebbero essere considerate l’amianto del futuro poiché alcune di loro riuscirebbero ad entrare nel nucleo delle cellule e, influendo sul DNA,  a provocare mutazioni genetiche.
Diviene essenziale realizzare un sistema di controllo. Poiché se è certamente plausibile che qualunque processo innovativo comporti delle incognite è altrettanto vero che prima di utilizzare nuove nanoparticelle, e nuovi materiali o prodotti in generale, sarebbe necessaria un’attendibile valutazione scientifica dei rischi al fine di determinare le pericolosità tossicologiche per esseri viventi ed ambiente che potrebbero derivare dal loro uso.
In caso contrario si ricade nel fenomeno “greenwashing” per cui la visione ambientalista risulta una mera strategia commerciale e non trova alcuna corrispondenza reale nei materiali e prodotti proposti.

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