La carenza di prescrizioni omogenee ha impedito ad un detenuto di Oristano di incontrare il suo cane all’interno della struttura di reclusione.
Il direttore
dell’istituto di pena non ha quindi potuto acconsentire alla richiesta del
condannato.
Il vuoto
normativo infatti ostacola una simile misura poiché come ha chiarito il
dirigente del carcere “ Non può prendersi un provvedimento che poi, a
condizioni analoghe, non venga applicato anche ad altri detenuti”.
Era stata la
dalla psicologa della casa circondariale a consigliare la pet therapy all’uomo
recluso che soffre di depressione. Il quale, attraverso l’associazione
Socialismo Diritti e Riforme, aveva chiesto di poter vedere il suo cane al
quale è molto affezionato.
Ma poichè nelle
strutture penitenziarie di Firenze, Bologna, Livorno e Montone i carcerati
hanno potuto vedere i loro cani ed a Padova è stato concessa la permanenza di
canarini all’interno delle celle, la presidente dell’organizzazione SDR, Maria
Grazia Caligaris, auspica una direttiva esplicativa che eviti ai dirigenti
delle carceri equivoci interpretativi.
La questione
riguarda la medesima problematica dell’accoglienza degli animali che si pone
anche per gli istituti sanitari e
socio-sanitari.
In entrambi i
casi l’imposizione della separazione genera sofferenza soprattutto negli
animali i quali subiscono del tutto incolpevoli una situazione che si palesa
come immotivatamente punitiva.
Mentre la
relazione con l’animale ha un’efficacia terapeutica accertata.
Per questo le
mancanze normative relative all’ospitalità dei pet anche all’interno di
strutture particolari richiedono una definizione sempre più urgente.
Che non può trovare soluzione solo nella risposta delle aziende private
(vedi l’esperienza della residenza per anziani Dog Camp a Binasco ), ma
richiede invece un impegno del comparto pubblico.
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