mercoledì 23 maggio 2018

Kenya : previsto inasprimento della lotta al bracconaggio

La mattanza di specie selvatiche a rischio estinzione ad opera del bracconaggio ha portato il Kenya a ritenere inadeguata la normativa vigente (legge sulla tutela della fuana selvatica emanata nel 2013 che prevede l'ergastolo o una multa di 200.000 dollari ) dimostratasi inefficace sia come deterrente che ad arginare il fenomeno.
Le cifre dei massacri ( solo nel 2017 96 elefanti e 9 rinoceronti) spingono il Paese africano ad aggravare i provvedimenti per il reato arrivando a configurare la pena di morte.
Il governo avrebbe conseguentemente deciso di riservare un iter privilegiato alla legge che inasprisce la condanna per chi uccide animali selvatici, almeno secondo quanto riportato dall'agenzia cinese Xinhua.
In quanto la piaga del bracconaggio ha effetti notevoli anche sull'economia del Kenya poichè la diminuzione della fauna selvatica si traduce in una drastica riduzione dell'afflusso turistico il cui principale richiamo è dato dalle bellezze naturali e faunistiche del Paese presenti soprattutto nel Parco Tsavo.
Il bracconaggio, con il suo eccidio che prosegue inarrestabile ed incontrollato, risulta per il Paese e per l'Africa tutta in un grave problema nazionale.
E a nulla vale la lotta degli eroici personaggi che agli animali selvatici d'Africa ed alla loro conservazione hanno dedicato la vita.
Come dimostrano le morti di quanti si sono prodigati per la salvaguardia della fauna africana, da Raphael Matta, strenuo difensore degli elefanti selvatici in Costa d'Avorio ucciso il 16 gennaio 1959, a Esmond Bradley Martin, ambientalista che cercava di contrastare in ogni modo il bracconaggio ( era stato anche inviato speciale delle Nazioni Unite per la lotta al bracconaggio ), assassinato in Kenya nel febbraio scorso durante quella che pare una rapina, ma che potrebbe essere un omicidio per la sua lotta incontrastata al crimine.
Difatti il bracconaggio, che può contare su strumentazioni sempre più sofisticate per trovare ed uccidere gli animali, grazie agli effetti della globalizzazione e delle tecnologie ha ormai dimensioni e modalità che lo definiscono come un commercio redditizio e privo di confini.
Crimine a cui concorrono pure turismo venatorio, “canned hunting” ed industria del leone come ricordano le tristemente famose vicende dei leoni Cecil e di uno dei suoi figli, Xanda, entrambi dotati di radiocollare, ma comunque attirati ed uccisi appena al di fuori delle zone protette dei parchi nazionali in battute di caccia che risultano così legali.
Business che minacciano specie a rischio e che causano addirittura l'esproprio dei territori da sempre abitati da alcune popolazioni locali. Come nel caso denunciato da uno studio dell'americano Oakland Institute dove due compagnie private, colluse con il governo, hanno di fatto requisito, nel Nord della Tanzania, le terre ai Masai, confinati in appezzamenti sempre più ridotti, per farne zone deputate al turismo venatorio.
Attività venatoria e crescente domanda di corno di rinoceronte ed avorio, soprattutto da parte dei paesi asiatici, sono le principali cause della caccia indiscriminata e del commercio illegale.
Attività che possono frequentemene contare sulla corruzione e complicità del personale incaricato della tutela di parchi e riserve ( ove è invece in pericolo l’incolumintà delle guardie forestali oneste che sono numericamente inferiori e decisamente meno attrezzate dei bracconieri). Mentre pene che risultano insufficienti per chi ricava guadagni enormi dalle stragi di animali e che spesso rimangono inapplicate sono fattori che giocano a favore del bracconaggio. Che mette a rischio la vita della fauna selvatica e quella delle persone che vivono di turismo decretando l'impossibilità di avviare uno sviluppo sostenibile.
Poiche questo reato, cagionando negative ripercussioni economiche sulle entrate nazionali del Paese contribuisce all'impoverimento delle popolazioni locali e quindi all'inasprimento delle disuguaglianze sociali, alla corruzione ed all'instabilità.

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