A chi apprezza tutte le creature e si mostra più
attento all’umana vicenda è sempre
apparsa evidente la correlazione tra violenza sugli animali e le
manifestazioni patologiche e che le prime siano espressione delle seconde. Ossia
che l’indifferenza al dolore dell’altro e l’assenza empatica generino mostri. Poiché
l’abuso sugli innocenti e sui più vulnerabili si configura spesso come manifestazione anticipatrice di altre forme
di crudeltà.
Esiste un allenamento alla consuetudine dell’uso della
violenza agita nei confronti di chi non è nelle condizioni di sottrarsi alle
sevizie. Tale addestramento è spesso legato al contesto familiare e/o sociale e
questa forma di violenza risulta rivelatrice di devianza.
La conferma di questa
relazione viene da studi e ricerche realizzati in vari Paesi che hanno
individuato il profilo zooantropologico criminale, sempre più importante ai fini della messa a
punto di strategie a contrasto della delinquenza. Al punto che l’Fbi ha
realizzato delle apposite sezioni di polizia per l’identificazione della connessione tra gli atti di crudeltà sugli animali ed i
casi di reato e devianza sociale individuando tale tipologia di abusi come “Top
crime” da classificare nell’archivio
elettronico nazionale dei criminali.
Anche in Italia ci si sta accorgendo della significatività di tali comportamenti che
vengono ora considerati con maggiore attenzione come dimostrato dalla redazione del rapporto “
Zooantropologia della devianza” presentato a Roma il maggio scorso.
Lo studio è stato condotto dal Nucleo investigativo per
i reati in danno agli animali ( Nirda) del Corpo forestale dello Stato e da Link-Italia,
associazione di promozione sociale, in collaborazione con la Polizia
Penitenziaria, ed ha riguardato istituti di pena, comunità per minori, centri
di recupero dalle dipendenze patologiche ed organizzazioni di assistenza alle vittime.
La ricerca ha esaminato 942 link ossia casi in cui risulta accertata la
corrispondenza tra gli atti di crudeltà sugli animali ed altre altre forme di
condotta antisociale, violenta o delinquenziale.
Ed è emerso che l’87% dei 537 carcerati intervistati aveva
assistito o agito violenze su animali quando era ancora minorenne.
Gli esiti dell’analisi appaiono in larga parte scontati
: il seviziatore- uccisore di animali tipo è
maschio ( nel 96 % dei casi ), con esperienza precoce di violenza sugli
animali (mediamente tra i 4-5 anni), situazioni di grave disagio, atteggiamento
antisociale, accentuata propensione sadica. Che li tramuta da adulti in soggetti
propensi all’abuso di sostanze stupefacenti,
compagni violenti, stalker, criminali, assassini.
La crudeltà nei confronti degli animali in giovane età
rientra nella sintomatologia del “disturbo della condotta” ed è ritenuta un
indicatore predittivo di comportamenti antisociali, devianti o criminali
dell’adulto. La sua individuazione riveste quindi un ruolo fondamentale per identificare
potenziali comportamenti socialmente pericolosi. Per questo lo studio ha lo
scopo di fornire nuovi strumenti di
prevenzione e controllo relativi alla violenza sugli animali.
Il riconoscimento scientifico può essere infatti un
aiuto ad avere un’attenzione vigile su alcuni comportamenti che si delineano
nell’infanzia e preadolescenza che non sono ne innocenti ne innocui per esseri umani ed animali e che troppo
spesso vengono sottovalutati nei loro effetti presenti e futuri. Dal momento che i crimini contro gli animali
sono avvertiti come reati di minor entità senza la percezione dell’effettiva portata e delle conseguenze sociali.
Industria ed
allevamento degli animali da pelliccia
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