venerdì 29 aprile 2016

Normativa sulla sperimentazione animale : il richiamo dell’Unione Europea all’Italia




La lettera di messa in mora inviata ieri da Bruxelles  all’Italia circa la legislazione relativa alla “ Protezione degli animali utilizzati ai fini scientifici ” riapre il dibattito sulla sperimentazione animale.
L’UE contesta al nostro Paese il Dgl. 26/2014 ritenendolo troppo limitativo per le prove sugli animali relativamente agli studi scientifici e medici. Il provvedimento normativo in questione ha di fatto vietato sul territorio italiano l’allevamento di primati, cani e gatti destinati ai laboratori. E prevede l’entrata in vigore dal 1° gennanio 2017 del divieto di sperimentazione sugli animali di alcol, droghe e tabacco, dell’attuazione di più di un test per cavia e dell’esecuzione di trapianti d’organo da un animale all’altro ( tranne che per gli studi  inerenti alla ricerca sui tumori).
Il richiamo europeo è dovuto alla violazione del divieto di adozione di normative maggiormente restrittive rispetto alla direttiva europea sulla sperimentazione, 2010/63/UE , che le proibisce al fine di fornire pari possibilità ai Paesi membri.
L’Italia ha ora due mesi di tempo per replicare o modificare tale disposizione.
Gli organi costituzionali appaiono purtroppo indirizzati ad uniformarsi alla procedura europea mediante l’eliminazione dal Dgl. 26/2014 dei divieti discordanti con la direttiva comunitaria recepita.
L’allineamento alle richieste europee si preannuncia quindi rapido nell’ interesse  delle aziende e multinazionali del settore e a detrimento dei diritti animali e della salute dei cittadini ( i test sugli animali risultano frequentemente inattentibili ).




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domenica 24 aprile 2016

Felini, arte e moda nell’esposizione alla GAM di Milano







E’ stata inaugurata ieri a Milano ( Galleria d’Arte Moderna, 23 aprile – 8 maggio ) la  mostra  “ Forte e fragile, i grandi felini nell’arte di Robert Dallet”  dedicata al naturalista ed illustratore francese ed realizzata da Hermès, per cui Dallet ha prodotto le immagini di giaguari, ghepardi e tigri per 25 foulard. La rassegna, che espone, oltre a quelle realizzate per la maison francese, altre 60 opere dell’artista, sarà presentata successivamente a Monaco, Hong Kong, Taiwan e Bombay. L'esposizione, alla cui organizzazione ha collaborato anche l’associazione statunitense per la tutela dei felini selvatici Panthera, oltre a rendere omaggio al lavoro del pittore grande estimatore dei felini effigiati in molti carrè della casa di moda francese, vuole contribuire alla tutela di questi animali mediante la sensibilizzazione del pubblico alla tematica della salvaguardia 
.



sabato 23 aprile 2016

Accordo Onu sul futuro della terra : clima in primo piano







L’accordo Onu firmato ieri a New York  da 175 Paesi del mondo per contrastare i cambiamenti climatici rappresenta un punto di partenza rilevante al fine di limitare gli effetti dell’attività umana sulla temperatura del pianeta.
Ma giunge a problematica avanzata e con forte ritardo rispetto alle condizioni ambientali. Inoltre gli obiettivi delle direttive comuni stabilite fissate dal patto contro il surriscaldamento (contenimento dell’innalzamento della temperatura globale entro i 2°C , sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e controllo periodico ogni 5 anni dei risultati ottenuti)  sono accompagnati da  strumenti di scarsa efficacia. Non sono infatti previsti obblighi o sanzioni e non è stata predisposta un’istituzione sovranazionale che possa far rispettare gli impegni assunti dai singoli governi nazionali. Ai quali rimane affidata la messa in atto delle misure ed interventi relativi al clima.
L’accordo ha quindi definito una linea d’azione condivisa, ma il percorso di attuazione si preannuncia ancora lungo, minacciato da politiche imprenditoriali e nazionali non sempre lungimiranti. 







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sabato 16 aprile 2016

Consultazione referendaria del 17 aprile sulle trivellazioni entro le 12 miglia

L’espressione del voto è sempre importante. In particolare quando riguarda un argomento di grande rilevanza quale l’ambiente e l’approvvigionamento energetico.
Quindi l’invito all’astensione da parte di chi riveste un ruolo istituzionale, pur se non democraticamente eletto, pare alquanto fuorviante. Come le motivazioni addotte  circa la scelta tra salute e lavoro ( la medesima avanzata anche per l’Ilva di Taranto) come se non fossero entrambi diritti, ma si dovesse esercitare un’anacronistica opzione.
Peraltro il referendum risulta già decurtato ed inerente alla sola durata delle concessioni estrattive entro le 12 miglia dalla costa. Riguarda quindi 92 permessi,  con l’Eni azionista di maggioranza di 76 impianti, su un totale di 135 piattaforme presenti nei mari italiani .
Ma considerando l’esigua entità  degli idrocarburi estratti da questi giacimenti  ( nel 2015  3 - 4% del fabbisogno nazionale di metano ed 1% di petrolio ), l’inquinamento ambientale (un recente rapporto commissionato dall’Eni e redatto da Greenpeace con dati riferiti agli anni compresi tra il 20121 e il 2014 relativi a 34 piattaforme per il gas nell’Adriatico afferma  che nelle cozze e sedimenti marini in prossimità delle piattaforme sono state rilevate sostanze chimiche,  in certi casi, percentualmente maggiori a quelle consentite dalla normativa ) e le possibili conseguenze relative ad un  territorio già fragile ed abusato, la partecipazione al referendum appare un’occasione per esprimere la propria volontà in tal senso e fornire un segnale incentivante verso la ricerca e lo sviluppo di energie alternative e realmente “green”. Per non ipotecare ancora una volta in un’ottica poco lungimirante il nostro e l’altrui futuro.

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venerdì 15 aprile 2016

Le pratiche violente della produzione della lana negli allevamenti intensivi

Anche gli allevamenti intensivi per la produzione della lana si basano sullo sfruttamento animale utilizzando metodi crudeli e brutali.
L’Australia, dove avviene la metà della produzione mondiale della lana merino, è il Paese in cui tali prassi sono maggiormente diffuse.
Selezione ed ingegneria genetica sono alla base dell’eccesiiva produzione di mantello ovino poiché naturalmente le pecore, che producono esclusivamente la lana necessaria per proteggersi dalle basse temperature, non avrebbero la necessità di essere tosate.
Inoltre negli allevamenti intensivi, per evitare una perdita di produzione di lana, la tosatura inizia prima della primavera ( stagione in cui si effettua la tosatura anticipando la naturale perdita del vello invernale) quando la temperatura è ancora troppo bassa ed il rischio che gli ovini muoiano per il freddo è reale.
Inoltre la quasi totalità degli addetti alla tosatura viene remunerato a volume ossia a quantitativo di lana tosata e questo li induce ad agire senza riguardo alcuno per gli animali che subiscono lacerazioni e tagli di entità tale da lasciarli vivi, ma sanguinanti e traumatizzati o da provocarne addirittura la morte.
Le pecore australiane sono selezionate per avere la pelle rugosa al fine di ottenere una maggior produzione di lana. Ma questa caratteristica determina una notevole inclinazione alle infezioni per la presenza di urina ed umidità.
Le pieghe cutanee dell’ovino diventano allora l’ambiente ideale per la deposizione delle uova di mosche le cui larve si nutrono direttamente della pecora che risulta così epsosta ad  infezioni dette “ Flystrike”. Per ovviare al fenomeno gli allevatori in Australia infieriscono con la pratica del “mulesing” mediante cui agli animali con gli arti bloccati da barre metalliche e sdraiati sul dorso viene asportato con forbici e senza la somministrazione di anestetico un’ampia  porzione ( diametro di circa 20 cm ) di tessuto cutaneo attorno alla coda allo scopo di impedire l’annidamento di insetti in questa zona. Questa violenta asportazione di pelle, che richiede circa un mese per la cicatrizzazione,  ha il risultato di esporre la ferita ad infezioni e insetti oltre a provocare un enorme dolore alle pecore che non riescono a camminare per giorni. L’80 % della popolazione ovina subisce questa pratica mentre potrebbero essere utilizzati vaccinazioni, trattamenti insetticidi ed antiparassitari, diete mirate, come dimostrato dai sistemi utilizzati dal 20% di allevatori maggiormente sensibili al benessere animale.
Ai piccoli viene praticato il taglio della coda, eseguito con un coltello,  i maschi sono sottoposti alla castrazione, effettuata con una lama o o mediante un anello di gomma per fermare l’afflusso di sangue, la rimozione delle corna compiuta con cesoie o lame.
Tutte le operazioni attuate in questi allevamenti sono normalmente praticate senza alcuna anestesia e con un’elevata percentuale di mortalità.
E quando la produzione della lana diminuisce la pecora è inviata al macello con il solito orribile calvario di morte. Ammassate su enormi navi ed esportate nei Paesi arabi ed africani dove gli individui che sopravvivono al massacrante viaggio sono uccisi nei locali macelli.
L’associazione PETA ha rivelato, negli ultimi 2 anni, attraverso investigazioni e filamti girati in 37 aziende di produzione della lana di 3 continenti le condizioni di questi allevamenti nei quali la gravità delle ferite e mutilazioni subite dalle pecore ne può determinare la morte.
Purtroppo ciò avviene pure nelle strutture che si definiscono “sostenibili” la cui fibra dovrebbe essere ottenuta in modo responsabile.
Ma il destino è analogo anche per capre,  conigli d’angora ed  alpaca.
Ed è stata proprio un’inchiesta della Peta che ha rese note le modalità utilizzate dalle maggiori ditte produttrici di lana d’angora in Cina. Aziende che operano in un Paese dove non esistono pene per i reati di maltrattamento grave degli animali e che esportano in tutto il mondo. 
Ai conigli d’angora la pelliccia è brutalmente strappata dal corpo ogni 3 mesi e questa pratica violenta provoca un grave shock a parecchi animali.
I conigli passano l’intera vita in gabbie luride, strette e disagevoli, e dopo atroci sofferenze vengono uccisi con mediante gassificazione, soffocamento, folgorazione o avvelenamento.
Per contrastare tutte queste pratiche di ottenimento della lana l’associazione Peta ha lanciato una campagna, testimonial la modella Joanna Krupa, per la sensibilizzazione circa i sistemi violenti adottati negli allevamenti per la produzione della fibra  e contro la moda insensibile e senza etica.

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venerdì 8 aprile 2016

Energia elettrica dai pomodori : l’energia pulita ed alternativa dagli scarti agroalimentari


Un team di Ricercatori della Minnesota South Dakota School of Mines & Technology guidati diretti dal Prof Vekataramana Gadhamshetty , in collaborazione con la Florida Gulf Coast University ha scoperto come ottenere elettricità dai  residui dei pomodori.
Questi frutti della famiglia delle Solanacee sono notoriamente ricchi di licopene,  che è un eccellente catalizzatore per la produzione di cariche elettriche. Una cella elettrochimica utilizza dei batteri che ossidano i  residui della lavorazione dei pomodori ed avviano una reazione chimica che, liberando elettroni, genera energia elettrica.
Per ora il procedimento dura circa 14 giorni e la potenza ottenuta è di piccola entità. Infatti da 10 milligrammi di scarti si ricavano 0,3 watt. Il processo è però suscettibile di perfezionamento al fine di ottenere un accrescimento della potenza elettrica.
La scoperta è stata resa nota durante il 251° Meeting Nazionale della American Chemical Society (ACS). Ma l’esperienza era già nota ed era stata attuata utilizzando anche altra frutta : nel 2010 il designer Cygalie Shapiro ha presentato, per l’azienda israeliana D-Vision, al salone del Mobile di Milano la lampada a led “On/Off” alimentata da pomodori mentre il fotografo Caleb Charland ha utilizzato le mele per  lo stesso scopo e l’energia elettrica prodotta dalla medesima reazione chimica ottenuta usando le arance è servita ad illuminare il cartellone pubblicitario nella campagna per “Tropicana” dell’agenzia pubblicitaria DBB.
Questa bio-energia trova anche una soluzione al problema dello smaltimento degli scarti della coltura del pomodoro evitando che tonnellate di rifiuti finiscano in discarica, producendo grandi quantità di metano con conseguente incremento dell’effetto serra, o nei corsi d’acqua causando danni ambientali.
La produzione di elettricità, mediante il riuso di rifiuti che contengono in sé una grande quantità di energia, può rendere sostenibile pure questo metodo che risulta attualmente abbastanza costoso.

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