venerdì 15 aprile 2016

Le pratiche violente della produzione della lana negli allevamenti intensivi

Anche gli allevamenti intensivi per la produzione della lana si basano sullo sfruttamento animale utilizzando metodi crudeli e brutali.
L’Australia, dove avviene la metà della produzione mondiale della lana merino, è il Paese in cui tali prassi sono maggiormente diffuse.
Selezione ed ingegneria genetica sono alla base dell’eccesiiva produzione di mantello ovino poiché naturalmente le pecore, che producono esclusivamente la lana necessaria per proteggersi dalle basse temperature, non avrebbero la necessità di essere tosate.
Inoltre negli allevamenti intensivi, per evitare una perdita di produzione di lana, la tosatura inizia prima della primavera ( stagione in cui si effettua la tosatura anticipando la naturale perdita del vello invernale) quando la temperatura è ancora troppo bassa ed il rischio che gli ovini muoiano per il freddo è reale.
Inoltre la quasi totalità degli addetti alla tosatura viene remunerato a volume ossia a quantitativo di lana tosata e questo li induce ad agire senza riguardo alcuno per gli animali che subiscono lacerazioni e tagli di entità tale da lasciarli vivi, ma sanguinanti e traumatizzati o da provocarne addirittura la morte.
Le pecore australiane sono selezionate per avere la pelle rugosa al fine di ottenere una maggior produzione di lana. Ma questa caratteristica determina una notevole inclinazione alle infezioni per la presenza di urina ed umidità.
Le pieghe cutanee dell’ovino diventano allora l’ambiente ideale per la deposizione delle uova di mosche le cui larve si nutrono direttamente della pecora che risulta così epsosta ad  infezioni dette “ Flystrike”. Per ovviare al fenomeno gli allevatori in Australia infieriscono con la pratica del “mulesing” mediante cui agli animali con gli arti bloccati da barre metalliche e sdraiati sul dorso viene asportato con forbici e senza la somministrazione di anestetico un’ampia  porzione ( diametro di circa 20 cm ) di tessuto cutaneo attorno alla coda allo scopo di impedire l’annidamento di insetti in questa zona. Questa violenta asportazione di pelle, che richiede circa un mese per la cicatrizzazione,  ha il risultato di esporre la ferita ad infezioni e insetti oltre a provocare un enorme dolore alle pecore che non riescono a camminare per giorni. L’80 % della popolazione ovina subisce questa pratica mentre potrebbero essere utilizzati vaccinazioni, trattamenti insetticidi ed antiparassitari, diete mirate, come dimostrato dai sistemi utilizzati dal 20% di allevatori maggiormente sensibili al benessere animale.
Ai piccoli viene praticato il taglio della coda, eseguito con un coltello,  i maschi sono sottoposti alla castrazione, effettuata con una lama o o mediante un anello di gomma per fermare l’afflusso di sangue, la rimozione delle corna compiuta con cesoie o lame.
Tutte le operazioni attuate in questi allevamenti sono normalmente praticate senza alcuna anestesia e con un’elevata percentuale di mortalità.
E quando la produzione della lana diminuisce la pecora è inviata al macello con il solito orribile calvario di morte. Ammassate su enormi navi ed esportate nei Paesi arabi ed africani dove gli individui che sopravvivono al massacrante viaggio sono uccisi nei locali macelli.
L’associazione PETA ha rivelato, negli ultimi 2 anni, attraverso investigazioni e filamti girati in 37 aziende di produzione della lana di 3 continenti le condizioni di questi allevamenti nei quali la gravità delle ferite e mutilazioni subite dalle pecore ne può determinare la morte.
Purtroppo ciò avviene pure nelle strutture che si definiscono “sostenibili” la cui fibra dovrebbe essere ottenuta in modo responsabile.
Ma il destino è analogo anche per capre,  conigli d’angora ed  alpaca.
Ed è stata proprio un’inchiesta della Peta che ha rese note le modalità utilizzate dalle maggiori ditte produttrici di lana d’angora in Cina. Aziende che operano in un Paese dove non esistono pene per i reati di maltrattamento grave degli animali e che esportano in tutto il mondo. 
Ai conigli d’angora la pelliccia è brutalmente strappata dal corpo ogni 3 mesi e questa pratica violenta provoca un grave shock a parecchi animali.
I conigli passano l’intera vita in gabbie luride, strette e disagevoli, e dopo atroci sofferenze vengono uccisi con mediante gassificazione, soffocamento, folgorazione o avvelenamento.
Per contrastare tutte queste pratiche di ottenimento della lana l’associazione Peta ha lanciato una campagna, testimonial la modella Joanna Krupa, per la sensibilizzazione circa i sistemi violenti adottati negli allevamenti per la produzione della fibra  e contro la moda insensibile e senza etica.

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