Il recente caso della chiusura per l’ordine di
demolizione ( a causa di un grave abuso edilizio ) dell’allevamento di visoni a
San Cataldo ( Mantova) dopo 41 anni di
attività riporta all’attualità il tema degli animali da pelliccia.
Oggi in Italia esistono circa 20 allevamenti di visoni,
l’unico animale da pelliccia ancora presente nel nostro Paese mentre in passato
erano allevati anche volpi e, negli anni ‘70 ed ‘80, nutrie ( o castorino) e
cincillà. Sebbene, secondo il rapporto Eurispes 2015 il 90% degli italiani sia
contrario agli allevamenti degli animali
da pelliccia.
Nonostante l’aumentata sensibilità della popolazione al
tema dello sfruttamento animale l’Europa prosegue nella tradizione dell’allevamento
degli animali da pelliccia.
Settore di cui rimane uno dei maggior produttori del
mondo per le pellicce di volpi e di visone destinate principalmente
all’esportazione nei Paesi dove si trova il maggior numero di aziende di
lavorazione e commercializzazione dei relativi prodotti finiti come Cina e
Russia.
In Europa gli allevamenti si concentrano soprattutto in
Danimarca per le pelli di visone, in Finlandia per quelle di volpe, a seguire
Olanda, Polonia ( dalla caduta del comunismo ha avviato un fiorente mercato di
pellicce, soprattutto di visone, ed ha avuto una forte crescita del settore ) e
Paesi scandinavi.
Ma poiché l’opinione pubblica è sempre più incline al
divieto di questa pratica alcuni Paesi, come Austria, Regno unito, Bosnia,
Croazia hanno totalmente proibito l’allevamento, l’Olanda ha emanato un
provvedimento di divieto che entrerà in vigore nel 2024 e dal 2013 la Slovenia
ha provveduto con l’interdizione di allevamenti ed attività venatoria allo
scopo di ricavarne pellicce. Altri nazioni hanno messo in atto provvedimenti
idonei a limitarne la produzione. Così in Svezia l’adozione nel 1995 di misure
restrittive per gli allevamenti di volpi ha determinato la chiusura di tutte le
aziende nel 2000 ( sono però rimasti circa 70 allevamenti di visoni), l’entrata in vigore nel 2012 di una normativa
sul benessere animale in Germania sta provocando la chiusura degli allevamenti
che non risultano più abbastanza remunerativi, in Danimarca dal 2009 è stato
proibito l’allevamento di volpi e in Svizzera le limitazioni imposte dalla
legislazione relativa al benessere animale impedisce di fatto l’esistenza di
simili allevamenti ( rimangono però gli allevamenti di visoni).
Ma se in Europa la richiesta di pellicce è
drasticamente diminuita è invece progressivamente e considerevolmente cresciuta
in Cina, paese diventato, dalla metà degli anni Novanta ‘90, , insieme alla
Russia, uno dei principali acquirenti e tra i maggiori produttori mondiali di
pelli e pellicce di ogni genere.
Nella nazione cinese le uccisioni avvengono con le
modalità più crudeli per la mancanza di
leggi normatrici delle procedure di uccisione degli animali. E riguardano molte
specie animali tra cui il murmasky o cane procione, ma anche cani ( soprattutto
pastore tedesco il cui pelo è estremamente simile a quella del murmasky ) e gatti. La pelliccia di questi
animali è utilizzata soprattutto per gli accessori, gli inserti e le bordature
dei capi invernali e la sua vera natura è celata da etichettature fuorvianti ed
ingannevoli ( Asian jackal , sobaki, gae-wolf, ecc. per la pelliccia di cane,
wildcat, katzenfelle, goyangi per quella di gatto).
E pure se sempre più marchi della moda e del lusso
rinunciano all’uso delle pellicce vere questo mercato non appare in crisi.
Infatti il settore risente della crisi economica, è contrastato
dal perfezionamento qualitativo delle pellicce sintetiche e boicottato dalle
campagne di sensibilizzazione dei cittadini in Europa e in America, ma è in costante evoluzione e crescita in
Paesi dove rappresenta esclusivamente un’industria redditizia e nei quali risulta
ancora quasi del tutto assente la riflessione etica relativa al benessere
animale.
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